Hugo ha visitato il “paese fantasma” di Rovaiolo Vecchio

BRALLO DI PREGOLA – Alfonso finiscila di spaccare la legna e vieni a mangiare la polenta. Muoviti è prontaa. Ho usato la farina che piace a te. Quella che hai comprato la settimana scorsa, in quel mulino della Val d’Aveto”. “Guido smettila di giocare con quel legnetto e vieni su a lavarti le mani è ora di mangiare”. Queste sono alcune voci di un passato, non tanto lontano, che Hugo, il nostro reporter a Quattro Zampe, ha percepito zampettando tra le case in sasso senza vetri, le cascine diroccate e le vie senza nome di Rovaiolo Vecchio, il borgo fantasma, nel comune di Brallo di Pregola, arroccato al di là del torrente Avagnone. “Percepisco ancora le voci di quelle persone, che prima dell’annunciata catastrofe, abitavano all’iterno di ciò che resta delle 15 case che formavano il paese. – Dice Hugo, mentre si ferma ad osservare un camino che sembra ormai spento da un’eternità. – Ora quel borgo è frequentato solo da lupi, caprioli e vipere”. Rovaiolo Vecchio fu abbandonato nel 1960 dai residenti minacciati da una frana. Infatti, quell’anno la prefettura di Pavia ordinò lo sgombero alle dieci famiglie contadine (circa 100 persone) che in quel borgo risiedevano. Grazie ai contributi pubblici i residenti lasciarono case, cascine, stalle per andare a vivere di fronte al loro vecchio paese, dall’altra parte del torrente Avagnone, dove fu costruito un altro paese denominato. Ma la sfortuna continuò a perseguitare questi residenti che dovettero fronteggiare una frana proprio nella parte nuova, anche se non ci furono danni, mentre nel paese abbandonato non si verificò alcun crollo. Infatti, frane bloccarono solo la strada. Ora quel paese che ospita una quindicina di case, un vecchio forno, una fontana con abbeveratoio, un recinto per i maiali e alcune stalle, è diventato un luogo affascinante e ricco di mistero.

“Questo è un paese sfortunato e una volta qui gli uomini spaccavano la legna e curavano le mucche, le donne cuciavano e i bambini correvano spensierati in attesa di sedersi a tavola per il pranzo. La domenica era sempre una giornata di festa e quando c’era il pane, quello bianco, tutti sorridevano. – racconta Hugo mentre osserva due scoiattoli fermi su un ramo di un albero cresciuto tra le mura di una casa scoperchiata – Ora non resta più nulla, solo il ricordo di una vita passata, di uomini con i volti scavati dalla fatica e di bambini cresciuti troppi in fretta”. A Rovaiolo vecchio ci si può arrivare soltanto a piedi, in bici e a cavallo, ma soltanto nella bella stagione. Oggi bisogna percorrere una strada impervia, rovinata in molti punti dalle frane. “Rovaiolo Vecchio non deve finire così. Bisogna fare qualche cosa per mantenere vivo il ricordo di un mondo passato, di tradizioni, di valori veri e di strette di mano. – Dice Hugo mentre scende dalla strada tortuosa lasciandosi alle spalle il paese fantasma – Bisognerebbe recuperare il borgo, trasformandolo in un museo contandino a cielo aperto. Fate qualche cosa o tra una ventina di anni rimarranno solo le fondamenta di quelle case. Bau Bau”.

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