Il “Bar” come luogo di aggregazione prima, durante e dopo i mesi dei lockdown: intervista alla barista Maria Fiori

CASTELLETTO DI BRANDUZZO – Maria Fiori, classe 1966, originaria di Frosinone, vive a Castelletto e dirige il Bar Mary Flowers di via Roma da ormai 29 lunghi anni. A gestione familiare e di forte impronta casereccia, il “Mary Flowers” è ancora uno di pochi locali dove il cliente che vi entra e prende un caffè o una birra riesce a sentirsi come a casa sua. Una sciarpa del Castelletto Calcio appesa sopra il bancone, locandine di eventi musicali passati e futuri affisse alle pareti, sensazioni un po’ retrò e nostalgiche, clienti abituali con cui scambiare due chiacchiere sul tempo o sulla vita che verrà, sorseggiando birra in lattina a un euro (!) oppure ottimi cocktail “Milano-Torino” con dentro l’introvabile vermut “Punt e Mes”. Quest’ultimo e tanti altri liquori d’annata, come il mitico e rarissimo “Petrus” o la invidiabile collezione di whisky di alta qualità esposti sulla parte sinistra del locale, fanno catapultare l’ignaro visitatore in un bar dalle vecchie atmosfere, ma nello stesso tempo moderno, vivace e frizzante come i ‘sempreverdi’ astanti presenti al bancone da mattina a sera.

“Quando arrivai a Castelletto nel 1992, gestire un bar fu un’avventura iniziata per caso, perché all’epoca i progetti erano tutt’altro – ci racconta Maria – Una serie di eventi ha portato alla necessità di riaprire questo locale che era dei genitori di mio marito Antonio. Io provenivo da una famigliarità commerciale: mio padre aveva una macelleria, mentre i miei zii avevano un negozio di alimentari. Incominciai così la nuova avventura, mettendo in pratica ciò che avevo sempre visto, cioè il contatto con gli altri. A prescindere da inevitabili difficoltà, il mio approccio con la realtà di un bar di paese del Nord Italia fu positivo, ma Castelletto trent’anni fa era molto diverso da oggi: il paese era più popolato, la strada era piena di gente e di negozi. Nel corso di questi lunghi lustri il Bar come istituzione ha perso un po’ quel ruolo di ritrovo sociale che aveva una volta. I piccoli paesi sono stati sacrificati dall’avvento dei grandi centri commerciali e delle catene di ristorazione. Sono cambiate tante cose da allora: prima si usciva di più e dal Bar ci passavano tutti, a prescindere da chi doveva consumare o meno. Hanno influito anche alcuni cambiamenti importanti come l’avvento delle pay-tv, dei cellulari e dei social network: le persone si sono ritrovate a dover imparare altre forme di socializzazione. Una volta i ragazzini si conoscevano al Bar, gli amici per uscire si incontravano al Bar e al Bar le persone parlavano di politica, di sport, di tutto. Adesso abbiamo internet e i cellulari, per cui il Bar non è più necessario come una volta”.

Cos’è successo e cos’è cambiato durante la pandemia Covid? “Il Bar era un luogo di aggregazione e di passaggio, nel senso che la gente ci ‘passava’. La pandemia ha fermato un po’ il movimento delle persone e il Bar ha vissuto un movimento opposto, senza gente che ‘passava’, senza più l’avventore. Suo malgrado il Bar si è trovato a sopperire alle necessità dei locali e a far fronte ad alcune esigenze che sono diventate necessarie, come la ricarica del telefonino, l’approvvigionamento di prodotti, il consegnare la spesa a casa di persone ammalate, ecc.. Il Bar ha dovuto rendersi virtuoso sul piano merceologico e offrire prodotti che aiutassero le persone a vivere all’interno di un piccolo territorio. Il nostro lavoro è cambiato, è diventato anche e soprattutto di sostegno sociale: durante quei mesi a tante persone, che erano risultate positive al Covid, noi consegnavamo la spesa a domicilio, con gli alimentari e la tabaccheria che hanno sopperito a quello che è stato l’annientamento del Bar stesso, che è rimasto chiuso”.

E poi, quando si è incominciato a riaprire e la vita ha ripreso pian piano a tornare alla normalità, cos’è successo? “Durante la ‘ripartenza’ la gente ha avuto giustamente l’esigenza di sapere cos’era successo e le persone hanno ricominciato a uscire. Si sono ritrovate tutte a venire al Bar e il Bar è tornato a essere un ritrovo sociale e uno scambio di opinioni, però tra la gente del luogo. Non c’è più l’avventore ‘forestiero’ che passa. Durante la pandemia abbiamo conosciuto gente di Castelletto che non conoscevamo per una serie di ragioni e quindi è rimasto questo scambio sociale, che ha risposto alle esigenze di persone che hanno perso il lavoro, le opportunità che c’erano prima, l’affiancamento degli ammortizzatori sociali, ecc.. Si è persa, insomma, quella clientela che portava il movimento e la comunicazione. I ricordi che ci rimangono sono le ultime manifestazioni nostalgiche dove hanno partecipato persone di ‘fuori’ che non conoscevamo e che di punto in bianco ci riempivano il locale nel giro di mezz’ora, e che oggi sono ci sono più. Da questo punto di vista la pandemia non è finita, siamo nella coda, ne siamo ancora dentro”.

In un mondo di continui cambiamenti sociali avete dei progetti futuri per il vostro locale? “I progetti sono tanti, però si vorrebbe vedere un risveglio economico un po’ più sostenuto. Un’idea potrebbe essere un supporto alle strutture limitrofe tipo il Motodromo – che è frequentato da tanta gente – e poter offrire servizi alle persone che vi arrivano, tipo degli alloggi oppure un Bed & Breakfast. Anche se questa è una strada percorribile, deve essere accuratamente studiata e ponderata. Ma a oggi non vedo altre alternative”.

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